La Compagnia Digitale - La Compagnia Digitale

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La COMPAGNIA DIGITALE può essere l’ultimo atto dell’esperienza musicale iniziata nel 1969 con IL SISTEMA e durata appunto un decennio: un decennio di un’intensità incredibile e profonda. Agosto 1979 Ormai quasi tutto è stato detto riguardo a IL SISTEMA, SNC, CELESTE, ST. TROPEZ, ma non tutto. Il tassello mancante è proprio costituito da LA COMPAGNIA DIGITALE. Le notizie sono sempre state scarse e spesso imprecise. Il motivo è da ricercarsi nel fatto che gli ultimi mesi del 1979 erano stati piuttosto convulsi e confusi. ST. TROPEZ non aveva potuto continuare il suo discorso serenamente. La sezione ritmica, o meglio le varie sezioni ritmiche che si erano avvicendate, via via avevano perso interesse a proseguire sul cammino tracciato ed il percorso intrapreso. Sin dall’inizio la “spina nel fianco” per ST. TROPEZ erano stati il batterista ed il bassista. Ci trovammo così con l’eterno dilemma di reperire un nuovo bassista ed un nuovo batterista. Non erano rimasti molti musicisti da poter ascoltare e soprattutto da ritenere adatti al ruolo da ricoprire. Ma la Fortuna ci venne in soccorso ancora una volta. Marco Tudini che, come ricorderete, aveva fatto parte della formazione originale di CELESTE nel 1972, si era allontanato per motivi professionali andandosene in Inghilterra a cercare nuovi sbocchi per la sua musica. Ma in quei giorni era appena ritornato in Italia con un ricco bagaglio di nuove esperienze e, da grande genio e creativo quale è sempre stato, aveva notevolmente migliorato la sua tecnica strumentale e, fra i vari strumenti che aveva sempre suonato e frequentato (flauto, sassofoni, pianoforte, chitarra, etc.) vi era anche la batteria. Ora, cresciuto non solo come musicista ma anche come esecutore, poteva essere l’uomo giusto al momento giusto! Non mi costò molto coinvolgerlo e convincerlo a partecipare a questa nuova avventura. Aderì senza riserve ed iniziò subito ad ascoltare i nastri delle prove dove vi erano le composizioni che poi sarebbero divenute il materiale che è presente nel concerto live de “LA COMPAGNIA DIGITALE. Quindi a quel punto lo sgabello del batterista era ormai occupato. E il bassista? La situazione fu leggermente più complessa. L’incidenza della percentuale di bassisti in rapporto agli altri musicisti è sempre stata piuttosto bassa. Per 10 batteristi diciamo ….. 3 bassisti? Penso sia verosimile. Intendo batteristi e bassisti di alto valore musicale. Torniamo alla ricerca. Sostituire un Giorgio Battaglia od un Silvano Cecchini non era impresa così semplice. Ad ogni modo con la mia solita incrollabile fiducia e determinazione mi diedi da fare ed iniziai a spargere la voce ed a cercare personalmente di riempire quel vuoto là dove stava il 50% del motore ritmico della band. Mi venne in mente all’improvviso che un musicista – chiaramente un bassista - che aveva a suo tempo frequentato il mio studio di registrazione, avrebbe potuto essere l’elemento mancante per poter completare l’organico. Sto parlando di Roberto “Roby” Rossi. Negli anni fra il 1975 e 1976 aveva fatto parte di un trio sul quale contavo molto e che avevo tentato di produrre (ho sempre avuto velleità di produttore e scopritore di nuovi talenti). Ricordo che accolsi i tre musicisti, che altri non erano che vecchie conoscenze, ritagliandomi un piccolo spazio dove sarei intervenuto in composizioni non mie suonando delle parti con il Mini Moog. I loro nomi? Chiaramente “Roby” Rossi al basso, Stefano Minutolo alla chitarra e voce (ricorderete il suo nome presente nell’organico del brano “Il Laghetto del Cigno”) e Marco Tudini alla batteria. Prima di trasferirsi quasi stabilmente in Inghilterra, faceva la spola con Sanremo ed in una di quelle rare e fugaci “finestre” si trovò il tempo per imbastire diverse sessioni di prove. Di questa formazione resta un demo di soli 2 minuti e pochi secondi che fa rimpiangere che non abbiano continuato. Ma tant’è! Torniamo al nostro bassista. Contattai Roby e fu entusiasta di accettare senza riserve. Quando poi lo misi al corrente che il batterista sarebbe stato Marco Tudini ……… Detto fatto! Dopo due giorni eravamo già in studio a provare il materiale. Avevamo in mente di riprendere anche tutto il materiale che aveva costituito il repertorio di ST. TROPEZ ma le composizioni nuove erano davvero tante per cui decidemmo di ripartire da zero senza guardare al passato. Anche se la tentazione era veramente tanta perché l’eredità della band precedente, in termini di stile e qualità, ci sarebbe stata di grande sostegno. Ma oggi sono felice che fu presa quella decisione. All’orizzonte non vi erano appuntamenti né a livello di concerti né a livello di contatti con produttori o etichette discografiche. Avevamo solo il desiderio di confrontarci con il nuovo che avanzava. Eravamo ben consci che occorreva rivoluzionare gli schemi e creare presupposti mai concepiti sui quali basare tutta la nostra esperienza futura. Io avevo appena acquistato un meraviglioso ARP 2600 corredato di 3 ARP Sequencers, che avevo solo in parte inserito ed utilizzato negli ultimi “bagliori” di ST. TROPEZ. Ora questa nuova attrezzatura trovava il suo vero spazio all’interno delle dinamiche compositive della band. Infatti ben più di un’idea e di uno spunto sono nati proprio dall’esplorazione di questo sintetizzatore assolutamente “mitico”. Il rammarico è che molte composizioni siano rimaste fuori da questa registrazione. Non avemmo il tempo di prepararle a dovere. Infatti solo nel mese di Agosto del 1979 il mio “vecchio” compagno di avventure musicali in Celeste, Mariano Schiavolini, mi chiese se eravamo disponibili per partecipare ad un concerto per il quale si stava adoperando di organizzare. Non ci parve vero di poterci mettere alla prova. L’occasione non andava sprecata assolutamente. Accelerammo le prove. Ogni istante fu impiegato per migliorare ogni passaggio ed ogni sfumatura. Motivo per il quale fummo obbligati a limitarci a scegliere i soli brani che volevamo presentare e che erano già ad un avanzato di preparazione. Finimmo giusto in tempo. Alla fine del mese eravamo pronti! Grandi aspettative e grande emozione, come sempre, prima di affrontare il pubblico. E qui è d’obbligo raccontare come si svolse veramente tutta la vicenda legata all’unico concerto de LA COMPAGNIA DIGITALE. Come ogni evento musicale estivo ci toccò arrivare di primo pomeriggio e, sotto un sole cocente con una umidità ai massimi livelli sopportabili – accanto alla spianata dove sorgeva il palco scorreva un corso d’acqua -, iniziare a scaricare strumenti ed attrezzature. Qualche solerte amico si industriava a darci una mano ma le cose delicate (le chitarre, i miei synths, le tastiere, etc.) dovevamo avere la nostra cura esclusiva. Dopo avere occupato ogni angolo disponibile sul palco per disporre i nostri strumenti avemmo il solito briefing con il sound engineer che avrebbe dovuto curare i nostri suoni. Avevamo ben chiaro il tipo di suono che avrebbe dovuto caratterizzare il nostro “live act”. Facemmo letteralmente impazzire il fonico ma alla fine ci dichiarammo soddisfatti e come sempre avviene tentammo di rilassarci ognuno a modo suo. Io optai per un bel tuffo nel torrente prima di consumare un veloce spuntino tanto da recuperare un poco le forze. Avremmo cenato molto tardi dopo il concerto. Come sempre. Dopo il temporaneo “liberi tutti” ci ritrovammo nelle vicinanze del palco. Tutti puntuali e belli carichi. Ma qui viene il “bello”! Negli anni ’70 non erano ancora in uso le consolle dotate di memorizzazione dei livelli, dei timbri e degli effetti per cui si era abituati lasciare i cursori nella posizione che si era scelta come ottimale. Ecco la sorpresa! Al momento di iniziare a suonare ci accorgemmo che qualcuno – chissà chi? - per calcolo, per disattenzione, per leggerezza o per qualsiasi altro motivo, aveva portato tutti i cursori, le manopole, i pan pots, le mandate degli effetti a zero. Risultato? Al tre/quattro del batterista dal palco si udì solo il suono dei tamburi. Che fare? Presenza di spirito. Uno di noi andò al mixer tentando di ricreare i suoni tanto provati nell’arco di tutto il pomeriggio e con l’aiuto del fonico ridare un senso al nostro spettacolo. Io restai volutamente sul palco e chiesi che prima di ogni altro strumento si curassero i livelli dei miei synths. Intendevo in questo modo, per dare più tempo al ripristino dei suoni e dei livelli originali, intrattenere il pubblico con la creazione di improvvisate atmosfere spaziali in attesa del ritorno alla normalità. Parve funzionare. Infatti buona parte del concerto fu apprezzata proprio in virtù di questi “esperimenti” sviluppati sul momento. Durante il concerto vi furono altri episodi che ci misero a dura prova. Soprattutto la nostra pazienza. Ma tant’è. Tutto andò bene ed oggi siamo qui a parlarne. Questo fu però davvero l’ultimo episodio di un decennio che, personalmente, mi scivolò addosso lasciandomi senza fiato, senza parole ma pieno di esperienza ed esperienze. Il mio percorso come musicista di band stava per concludersi (lo avrei riaperto con CELESTE “Il Risveglio del Principe” nel 2017, 38 anni più tardi ma ancora non lo sapevo). Dopo poche settimane dopo che ero disceso da quel palco nell’Agosto del 1979, firmavo il mio primo contratto che mi permetteva di iniziare la carriera da solista con la realizzazione di SOLARE. Ma questa è un’altra storia. Ciro Perrino
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